Lettera di uno studente

Ho sempre pensato che della scuola parlino tutti gli “indiretti” interessati (genitori, ds, associazioni, medici). Gli studenti non hanno voce, sono spesso sottovalutati ed incompresi. Ripeterò sino alla noia che io sono sempre dalla parte dei bambini e dei ragazzi, io provo a dar loro voce e sapete quanto sono agguerrita.

Ho avuto la fortuna di ascoltare un giovane studente, con stupore ed ammirazione durante il suo intervento ad un convegno sulla scuola. Gli ho chiesto la gentilezza di condividere ovunque il suo pensiero ed è stato gentilissimo e disponibile. Scrive A.N. e fate attenzione, merita! Tra le parole di A., il giudizio costruttivo di questa generazione di studenti sulla scuola italiana.

 

Sono A. N., studente di quinta al Liceo scientifico e rappresentante d'Istituto per la mia scuola.

Come tale vorrei riportare in quest'occasione quelle che sono la mia testimonianza e le mie riflessioni sul tema della scuole affrontando in particolar modo quello che secondo me è un nodo cruciale, cioè il modo con cui gli studenti vedono e vivono il luoghi della formazione.

 

Perchè uno studente o una studentessa dovrebbero andare a scuola? Con quali prospettive? “Per avere un futuro migliore”, probabilmente direte. Beh, ma cosa significa “un futuro migliore”? Quello che in questo momento uno studente o una studentessa vede davanti a sé è un futuro precario, incerto; sa che, anche una volta finiti gli studi, non avrà la certezza di un posto di lavoro, non sa se troverà un lavoro che corrisponda alle proprie aspirazioni o anche soltanto al proprio titolo di studio, non sa se potrà costruire la sua vita perchè non potrà contrarre un mutuo, o perchè magari il lavoro neanche lo troverà.

 

E allora pongo nuovamente la domanda: perchè dovrebbe studiare? “Per aumentare la propria cultura, la propria conoscenza”. Beh, questa prospettiva è condivisibile e sicuramente la condivido, ma cosa significa “accrescere la propria cultura”? E soprattutto, qual è il ruolo della scuola su questo punto? Io credo che la “conoscenza” che viene attualmente insegnata all'interno delle scuole altro non sia che un pacchetto di saperi sempre più standardizzati che relegano studenti e studentesse in una prigione le cui sbarre sono costituite da programmi pre-confezionati, da una valutazione numerica e da una didattica frontale e molto spesso nozionistica.

 

Ecco, quello che non funziona della scuola credo sia questo.

 

Non pretendo ora di portare una formula magica che permetta di risolvere questo problema, ma posso provare a delineare quantomeno qualche spunto per una riflessione personale e collettiva.

 

Partirei innanzitutto dalla didattica, che è un punto fondamentale della Scuola, ma sul quale non viene mai portata avanti una riflessione collettiva che coinvolga in particolar modo gli studenti stessi, che dovrebbero essere i reali protagonisti delle lezioni. Troppo spesso, le poche volte che si parla di didattica, si fa unicamente riferimento alle nuove tecnologie, alle lavagne interattive, ai libri digitali ecc. Certamente le nuove tecnologie possono rappresentare una possibilità, ma nel momento in cui si inseriscono nella logica della lezione frontale e dell'apprendimento passivo da parte degli studenti, esse non sono altro che uno strumento, anche se certamente utile, per aiutare i docenti nell'insegnamento. Il punto vero della didattica è il metodo, ormai antiquato, della lezione frontale nella quale c'è un docente e c'è un discente. I ruoli paiono non essere interscambiabili, e gli studenti stessi sono relegati a una posizione di passività, nella quale le possibilità di protagonismo sono limitate a piccoli e sporadici momenti all'interno di un contesto prestabilito. Provo a fare un esempio concreto. Innanzitutto partirei dall'osservazione della disposizione degli studenti all'interno dell'aula; normalmente, c'è la cattedra, e opposti alla cattedra ci sono i banchi. Per quale motivo non vengono svolti momenti di apprendimento con la disposizione in cerchio degli studenti, che possono essere sì anticipati da momenti di spiegazione frontale, spesso necessari, ma che secondo me dovrebbero essere limitati allo stretto necessario.

 

Altra questione affrontata sporadicamente: che cosa si studia a scuola? Quali argomenti? Non parlo soltanto di materie quali musica o arte, ma anche della scelta stessa degli argomenti affrontati durante il corso dell'anno. Ecco, io credo che questi debbano essere il più possibile integrati da temi sviluppati in maniera personale e scelti autonomamente dagli studenti, attraverso soprattutto lavori di gruppo.

 

Infine l'ultimo tema che vorrei affrontare oggi, quello della valutazione. All'interno delle scuole il sistema di valutazione è un sistema che mira a valutare la “quantità” di sapere prodotto dallo studente e che punisce chi non ha saputo quella determinata conoscenza; e così funziona anche la bocciatura, che dovrebbe rappresentare il metodo per cui vengono “fermati” coloro che non hanno saputo abbastanza, che hanno magari avuto problemi o che anche non si sono adeguati a questo determinato sistema scolastico. In questo quadro, anche il voto in condotta rappresenta un elemento di autoritarismo.

Dal mio punto di vista la bocciatura, così come il voto di condotta, rappresentano dei metodi che non vanno nella direzione dell'insegnamento e della formazione ma che in maggior misura sono elementi che in qualche modo relegano lo studente all'interno di un disegno ben preciso.

A.N.